Zibibbo di Pantelleria, vino di sole e di vento

La Magia della Perla Nera del Mediterraneo

Conosciuta come perla nera del Mediterraneo per le sue rocce vulcaniche, Bent el Riah, figlia del vento, come la chiamarono gli arabi, geograficamente molto più vicina all’Africa, con i suoi 836 metri della Montagna Grande, Pantelleria si erge fiera nel Canale di Sicilia.

I paesaggi incontaminati insieme all’eccellenza dei suoi vini e della sua cucina fanno di questa isola, dominata già dai fenici, dai saraceni, dagli arabi e dai bizantini, il giardino del Mediterraneo.
Pantelleria è bella in modo abbacinante, violento, è verde e nera con le sue stupende ossidiane, con tutto intorno un azzurro invadente e sconcertante, è isola degli estremi, dai panorami inusuali, modellata dal vento. Un luogo che è la prova tangibile di come l’uomo sia riuscito a dialogare con questa natura selvaggia e dura, per assicurare, nel tempo, la propria sopravvivenza.
La coltivazione della vite e del cappero sono il simbolo di Pantelleria così come i dammusi, le abitazioni che caratterizzano il paesaggio dell’isola, con i loro tetti tondeggianti e lisci raccolgono l’umidità notturna per riempire le cisterne direttamente collegate e i caratteristici muretti a secco che delimitano l’intera isola, hanno una duplice valenza, proteggono le piante dal vento e favoriscono la preservazione dell’umidità del terreno.

La viticoltura a Pantelleria può contare solo sulle braccia dell’uomo, non ci sono macchine che possano sostituire le braccia del contadino, una tecnica durissima, perché sui terrazzamenti la vite viene allevata in una larga conca per riparare la pianta e i frutti dai venti di scirocco e di grecale levante che soffiano frequentemente e con forza sull’isola, per questo il 26 novembre 2014 la vite ad alberello di Pantelleria è stata inserita, con voto all’unanimità, nella lista dell’Unesco dei patrimoni culturali immateriali mondiali. Nessun paese, prima dell’Italia, era mai riuscito a inserire nella lista una pratica agricola. I vignaioli panteschi sono riusciti a fare sopravvivere vigne ultracentenarie sopravvissute alla catastrofe della filossera della seconda metà dell’Ottocento, quando l’Europa intera, a partire dalla Francia, perse quasi tutti i suoi vigneti.
La parola “zibibbo” ha origine dalla parola araba zabīb, che vuol dire “uvetta” o “uva passita”, tecnicamente il vitigno si chiama Moscato d’Alessandria e ha origini nordafricane e a Pantelleria fu introdotto dai Fenici. Per ottenere il tenore zuccherino necessario alla produzione dello Zibibbo liquoroso (senza aggiunta di alcool etilico), i grappoli vengono raccolti dopo una sovramaturazione e prima della pigiatura vengono stesi ad asciugare su graticce di legno la cui origine è millenaria.

Oggi Pantelleria può essere indicata come isola dello zibibbo: una realtà varia e di grande livello di vini bianchi da uva zibibbo, dalle bollicine metodo classico ai vini fermi e ben interpretati come l’iconico Ben Rye di Donnafugata e l’Integer di Marco De Bartoli, eletto nel 2018, il “miglior vino” nella prestigiosa “Top Ten” stilata tutti gli anni dalla rivista Bloomberg e il Passito di Pantelleria Dop “Shamira” 2009 di Cantina Basile, l’unico italiano ad aver vinto la gran medaglia d’oro al concorso “Mondial des vins extrêmes” 2016.

La Cantina Basile, situata nel cuore della contrada Bukkuram, è una azienda a conduzione familiare, dove Fabrizio, vulcanico e intraprendente vignaiolo, decide di avviare un progetto per trasformare le uve coltivate nei vigneti di proprietà in vino da immettere sul mercato. Dopo la ristrutturazione del settecentesco “dammuso”, il sogno comincia a prendere piede e finalmente nel 2006 avviene la prima vinificazione. Oggi la cantina produce 50mila bottiglie e accanto a lui Simona, oggi sua moglie, che nel 2004 aveva mollato il mondo della moda a Milano per seguire Fabrizio e trasferirsi definitivamente nell’isola.

Nella meravigliosa cornice dell’isola di Pantelleria, accarezzati dal vento e storditi dal profumo di salsedine che si alza dal mare, ci si appassiona a questo zibibbo, a volte ambrato e balsamico come il Ben Ryé di Donnafugata da assaporare col bacio pantesco oppure secco, dalle note aromatiche e minerali come il Pietranera di De Bartoli, intenso con la cucina curata e raffinata di chef come Salvatore Bottaro.

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